Veste sempre di nero, un po’ come Neo di Matrix. Ha cominciato a programmare da ragazzo, per fare uno scherzo a un insegnante. È nemico di Putin e per
Veste sempre di nero, un po’ come Neo di Matrix. Ha cominciato a programmare da ragazzo, per fare uno scherzo a un insegnante. È nemico di Putin e per questo motivo non può mettere piede in Russia. Vive a Dubai perché così può tranquillamente pagare meno tasse. Ed è stato accusato di aiutare terroristi e trafficanti di esseri umani con la sua più recente creazione.
Lui è Pavel Durov, sfuggente fondatore prima di VKontakte, il primo social network in cirillico, poi di Telegram, che cresce rapidamente e si appresta a lanciare una sua blockchain, con annessa cryptovaluta.
Ecco la sua storia.
Gli inizi in Russia e VKontakte
Pavel Durov nasce in Russia il 10 ottobre 1984, poco prima del crollo dell’Unione Sovietica, il regime di sorveglianza per eccellenza. Non è un caso, forse, che sia diventato poi così ossessionato dalla privacy.
La sua “carriera” comincia a scuola, dove impara a programmare. È motivato da un interesse personale: vuole hackerare gli schermi digitali in classe, per cambiare la frase di benvenuto che mostrano. Vuole insultare un insegnante che non gli piace. E ci riesce.
Pavel condivide la passione per il coding con il fratello Nikolai, programmatore anche lui e matematico rinomato in Russia (ha vinto una serie di premi), e con lui farà nascere il primo social media del Paese ormai ex bolscevico.
È il 2006, Durov lascia l’università e lancia VKontakte, una piattaforma che funziona in maniera simile a Facebook, ma è in russo. Ha un successo immediato: raggiunge rapidamente i 350 milioni di utenti. Oggi vale circa 3 miliardi di dollari, secondo TechCrunch.
Ma il social non è più nelle mani dei fratelli Durov già da diversi anni.
I contrasti con il Cremlino e la fuga
VKontakte è stato infatti usato come strumento di comunicazione dagli attivisti politici che supportano Alexei Navalny, il più noto oppositore di Vladimir Putin, oggi in carcere. Per questa ragione, il governo russo ha chiesto ai Durov di poter accedere alle informazioni del social, per ottenere quindi un maggior controllo sulla piattaforma.
Per tutta risposta, Pavel Durov condivide una fotografia di un cane, in felpa, con la lingua di fuori. È un messaggio diretto al Cremlino: “Non farò ciò che mi chiedete”.
Da quel momento è chiaro che per i fratelli Durov i giorni in Russia sono contati. Pavel ha dichiarato poi che alcuni uomini armati, la notte dopo aver condiviso la foto del cane, sono arrivati al suo appartamento in tuta mimetica.
Oltre a questo, Pavel e Nikolai vengono gradualmente “invitati” ad abbandonare il social network più popolare in Russia. Investitori collegati a Mail.ru, un’azienda con agganci importanti nel Cremlino, assumono via via il controllo di VKontakte.
Nel 2013, Pavel viene accusato di essere alla guida di una Mercedes che investe un poliziotto a Mosca. Lui risponde che non è possibile: non sa nemmeno guidare. Rifiuta quindi di presentarsi alla stazione di polizia, dove è stato chiamato per un interrogatorio. Per tutta risposta, le forze dell’ordine irrompono negli uffici del social network, a San Pietroburgo, ma ormai Durov ha abbandonato il Paese da alcuni giorni, fuggendo su un aereo dall’aeroporto di Pulkovo.
Nel frattempo i due fratelli hanno venduto l’ultima quota del social per 300 milioni di dollari. Oltre a questa somma, Pavel ha in tasca duemila bitcoin.
Il piano B: Telegram
I due hanno già un piano B in atto. Avevano già fondato in gran segreto un’azienda con sede a Buffalo, nello stato di New York, e aiutato alcuni dipendenti fedeli di VKontakte a emigrare negli Stati Uniti.
Il progetto su cui stavano da tempo lavorando si chiama Telegram. È un’app che fonda tutto sulla privacy: per governi e hacker è impossibile (o comunque incredibilmente difficile), secondo i fondatori, spiare le attività e le identità degli utenti.
In parole povere, l’app ha un funzionamento simile a quello di WhatsApp, dove gli utenti possono scambiarsi messaggi, ma senza necessariamente condividere il numero di cellulare. Qui inoltre è possibile avviare delle chat segrete, con messaggi che si autodistruggono. L’app in ogni caso è criptata ed è quindi molto complicato “sbirciare”: i suoi fondatori dichiarano spesso che Telegram è “hack-proof”, a prova di hacker. I server dell’azienda sono in località sconosciute e persino molti degli impiegati – che secondo i fondatori sono “amici milionari” – sono sconosciuti.
A marzo, l’azienda ha annunciato di aver raggiunto i duecento milioni di utenti sulla piattaforma. Non è ancora chiaro se la società generi profitti: secondo Bloomberg, la monetizzazione dovrebbe arrivare quest’anno. Nel frattempo, Pavel Durov pare che ci metta un milione di dollari al mese – di soldi suoi – per continuare a gestire l’app.
Malgrado ciò, Telegram non è in vendita. Durov ha dichiarato di aver ricevuto cospicue offerte da grossi nomi in Silicon Valley, tra i tre e i cinque miliardi di dollari:
«Ma non è in vendita, persino per 20 miliardi di dollari: è una garanzia a vita», spiega il fondatore.
Mentre costruiscono il successo di Telegram, i due fratelli Durov non hanno dove reclinare il capo. Si spostano di Paese in Paese, dicendo di essere inseguiti da agenzie come l’FBI.
La maggior parte delle operazioni si svolge in ogni caso a Dubai:
«Amo questo posto: si sta sviluppando molto in fretta, come una startup», ha dichiarato Pavel. Al di là della versione romanzata, i fratelli imprenditori si sono spostati negli Emirati soprattutto per i vantaggi fiscali offerti dal Paese:
«È una questione di principio. Molti occidentali non si rendono conto di quanto le tasse limitino le loro possibilità. Puoi ritrovarti a pagare metà del tuo reddito in tasse, il che significa sostanzialmente che lavori per il governo 180 giorni l’anno. Credo di poter trovare modi migliori di usare i soldi, a beneficio della società».
Secondo Forbes, Pavel Durov oggi ha un patrimonio netto di 1,7 miliardi di dollari.
L’ICO di Telegram
La prossima mossa di Telegram sarà la nascita di una propria blockchain, collegata a una cryptomoneta nativa. L’obiettivo è di consentire in questo modo il pagamento direttamente nell’app di messaggistica.
Come spiega TechCrunch, la blockchain dovrebbe chiamarsi TON, acronimo che sta per Telegram Open Network, e sarà una “catena” di terza generazione, con capacità superiori. Il lancio della TON sarà finanziata attraverso una ICO (Initial Coin Offering), una forma di finanziamento che prevede l’acquisto di token da parte di investitori, che finanziano i progetti di chi lancia l’Offerta.
Inizialmente l’ICO sarebbe dovuta servire ai Durov per finanziarsi per 1,2 miliardi di dollari. Di recente, però, gli investitori hanno convinto i fondatori di Telegram a puntare a due miliardi.
Le critiche
Non mancano le criticità per Pavel Durov, accusato di aver fornito con Telegram uno strumento ai terroristi per operare di nascosto.
Durov è oggi visto come una sorta di eroe per i difensori della privacy in Russia, ed è stato infatti lodato da Julian Assange, il fondatore di Wikileaks, per via della tecnologia criptata di Telegram. Ha però ricevuto critiche da parte di Edward Snowden, il whistleblower della NSA, che in passato ha twittato:
«Forse Durov è un angelo e lo spero! Ma altri angeli sono caduti prima d’ora. Telegram avrebbe dovuto lavorare per rendere i canali decentralizzati – al di fuori del controllo dell’azienda – ormai da anni».
All’opposto, Theresa May, primo ministro britannico, ha criticato Telegram a gennaio, durante il World Economic Forum di Davos, perché con la sua comunicazione criptata consentirebbe ai terroristi di operare indisturbati.
May ha dichiarato che “le piattaforme più piccole possono facilmente ospitare criminali e terroristi. L’abbiamo visto succedere con Telegram. Abbiamo bisogno di ricevere maggiore cooperazione da piccole piattaforme come questa. Nessuno vuole essere conosciuto come “la piattaforma dei terroristi” o l’app scelta dai pedofili”.
L’Iran ha denunciato Durov perché ritiene che Telegram sia popolare tra i terroristi, i trafficanti di esseri umani e i pedofili. In Iran l’app è particolarmente forte. A fine 2017, erano 40 milioni gli utenti attivi nel Paese e secondo alcuni report, il 40% di tutto il traffico internet iraniano arriva proprio da Telegram, considerando che altri social come Twitter e Facebook sono banditi. Sarebbero 500mila i canali in Farsi, la lingua ufficiale in Iran, sulla piattaforma.
Anche i membri dell’ISIS a quanto pare hanno sfruttato le chat segrete dell’app per evitare la sorveglianza. A seguito dell’accusa, i vertici dell’azienda hanno bloccato 78 canali collegati all’ISIS, in dodici lingue diverse.
Alle accuse, Pavel Durov ha risposto in un’intervista alla CNN, sminuendo il ruolo di Telegram nell’organizzazione del terrorismo islamico:
«Noi pensiamo che offrire il nostro mezzo di comunicazione privato alle masse – il 99,999% delle quali non ha alcun legame con il terrorismo – sia più importante della minaccia. I terroristi troveranno sempre un mezzo per comunicare in maniera sicura».
In ogni caso, Durov ha annunciato che sta sviluppando una funzione ‘ricerca’ nell’app per aiutare a scoprire ed eliminare i contenuti estremisti. I dati personali, però, saranno sempre “off limit”.
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