Competitività e internazionalizzazione: i vantaggi dei lavoratori stranieri in azienda

Competitività e internazionalizzazione: i vantaggi dei lavoratori stranieri in azienda

Inclusività come volano per l’internazionalizzazione e la competitività aziendale. Ecco come il paradigma lavorativo italiano cambierà nei prossimi anni.

In un’Italia in cui, oggi, parallelamente a un calo demografico sempre più deciso si assiste a un aumento del numero degli stranieri residenti, è sem

In un’Italia in cui, oggi, parallelamente a un calo demografico sempre più deciso si assiste a un aumento del numero degli stranieri residenti, è sempre più importante per le aziende attuare politiche di inclusione.

I numeri, del resto, parlano chiaro. Gli stranieri residenti nel BelPaese risultano a oggi essere 5,9 milioni. A questi vanno aggiunti circa 366mila regolari per permesso di soggiorno, ma non iscritti all’anagrafe. Altri 517mila sono gli irregolari. Oltre 1,6 milioni, invece, i nuovi italiani: tutte quelle persone che, avendo acquisito la cittadinanza sono “scomparse” dalle statistiche sull’immigrazione. Per un totale di circa 8 milioni di persone.

Una forza lavoro importante, di cui, però, una buona percentuale rientra nella categoria del lavoro sommerso. Basti pensare, infatti, che gli stranieri assunti con regolare contratto sono soltanto 2 milioni e mezzo.

Inclusione e vantaggi competitivi

In questo panorama, è l’inclusione la carta vincente per le aziende.

Secondo il recente studio dal titolo «Una macchina in moto col freno tirato. La valorizzazione dei migranti nelle organizzazioni di lavoro», condotto in Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Puglia e Veneto, nell’ambito del progetto «DimiCome» (Diversity management e integrazione. Competenze dei migranti nel mercato del lavoro), e realizzato da Fondazione Ismu e co-finanziato dal Fondo asilo, migrazione e integrazione (Fami), l’inclusione potrebbe essere la soluzione giusta per le aziende. I vantaggi sono infatti diversi.

Accanto a dei miglioramenti a livello organizzativo, le aziende che puntano all’inclusione diventano obiettivamente più competitive, con notevoli vantaggi nei percorsi di internazionalizzazione e nelle strategie commerciali.

L’inclusione dei lavoratori stranieri genera inoltre un beneficio per tutti i dipendenti. Le strategie messe in campo per l’inclusione delle persone vulnerabili, come possono essere i migranti, ad esempio, aiutano le aziende a sviluppare politiche generali valide per tutti i dipendenti con riferimento ai loro diritti, come la semplificazione dei rientri da periodi di maternità o di malattia.

Lo studio ha raccolto e indagato i dati provenienti da aziende di settori e dimensioni variabili. Dalle multinazionali, alle piccole imprese.

In particolare, sono stati analizzati anche i percorsi di gestione della diversity. Se da un lato, l’inclusione è un percorso quasi innato per molte multinazionali, questo genere di politica è un po’ meno scontata per le piccole e medie imprese.

Laura Zanfrini, responsabile del settore Economia e Lavoro della Fondazione Ismu afferma:

«Mentre le multinazionali contemplano la diversity per i profili superspecialistici, per le nostre aziende questo approccio opera su profili meno specializzati, acquistando per questo ancora più importanza. Si delinea quasi una diversity all’italiana in cui queste pratiche hanno spesso un forte ancoraggio al territorio di appartenenza dell’azienda, o meglio hanno ricadute su questo».

Inverno demografico

Negli ultimi anni, l’Italia ha continuato a registrare un calo drastico delle nascite, soprattutto se paragonate al numero di decessi (435 mila contro 647 mila).

L’Istat parla del “più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918”. Per ogni 100 persone che muoiono nel nostro Paese, ne nascono solo 67. Dieci anni fa, invece il numero era di 96 nascite per 100 decessi.

Gli italiani residenti, dunque, continuano a diminuire. Al primo gennaio di quest’anno, il numero registrato era di 60 milioni e 317mila. Ben 116mila italiani in meno rispetto allo scorso anno. Si tratta del quinto anno consecutivo in cui si registra un forte calo della popolazione, nonostante il saldo migratorio con l’estero risulti ancora positivo (307 mila nuove iscrizioni rispetto a 164 mila cancellazioni).

Anche i nuovi ingressi di stranieri sono in diminuzione. Lo scorso anno sono stati 25mila in meno rispetto al 2018 e 34mila in meno rispetto al 2017.

Il vero problema con l’estero è rappresentato dagli scarsi rientri degli italiani emigrati. Quelli che si trasferiscono sono in numero maggiore rispetto a quanti rientrano: si tratta di 77mila unità in meno. Il saldo degli stranieri risulta essere invece positivo per 220mila unità.

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Lo sviluppo economico e sociale dell’Italia dei prossimi anni dovrà necessariamente tenere conto di queste dinamiche demografiche. Secondo Laura Zanfrini, le aziende dovranno inevitabilmente puntare alla diversity, visto che la presenza di lavoratori con background straniero di prima e seconda generazione sarà sempre più significativa. Si tratta di un programma necessario per la competitività del Paese e del sistema produttivo nel suo complesso.

I curatori del progetto «DimiCome» affermano che le aziende possono avere un ruolo centrale nella formazione e valorizzazione dei migranti. Gli stranieri hanno ancora un ruolo di “complementarietà”: non entrano in competizione con i lavoratori nazionali, perché tendono a ricoprire mansioni che nessuno vuole svolgere  per le condizioni di lavoro e retributive e per il basso prestigio sociale.

Non solo lavoratori: gli stranieri imprenditori

Secondo il decimo Rapporto annuale sull’economia dell’Immigrazione a cura della Fondazione Leone Moressa, sono 2,5 milioni gli stranieri regolarmente occupati in Italia. In genere sono uomini, con un’età compresa tra i 35 e i 54 anni e svolgono professioni meno qualificate.

Nel 2019, i lavoratori stranieri impiegati in Italia hanno dichiarato redditi per 29,08 miliardi di euro e pagato Irpef per un valore di 3,66 miliardi. In totale, si parla di 17,9 miliardi di tasse pagate. Essendo relativamente giovani, e quindi incidendo di meno su pensioni e sanità, riescono a mantenere in positivo il saldo tra entrate e costi: +500 milioni di euro.

La regolarizzazione dei lavoratori stranieri, dunque, ha inciso positivamente sulle casse dello Stato. Secondo i referenti della Fondazione Leone Moressa,

la procedura di regolarizzazione 2020 è solo l’ultima di una lunga serie che, dal 1987 ad oggi, ha portato all’emersione di oltre 2 milioni di stranieri irregolari (il picco nel 2002/2003, con quasi 650mila “sanati”). La “sanatoria” ha portato nelle casse dello Stato 30 milioni di euro immediati (contributo una tantum al netto dei costi amministrativi), ma potrebbe portare altri 360 milioni di euro annui, sotto forma di tasse e contributi dei lavoratori regolarizzati”.

Ma non è l’unico dato positivo. Negli ultimi anni se da un lato è diminuito il numero di imprenditori italiani (-9,4%), dall’altro si è assistito a un aumento di attività lanciate da imprenditori stranieri (+32,7%), che vengono soprattutto da Cina, Romania, Marocco e Albania. Il numero più consistente, però, proviene da Bangladesh e Pakistan e interessa soprattutto il settore edile.

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Competitività e internazionalizzazione: i vantaggi dei lavoratori stranieri in azienda

di Carmen Guarino Tempo di lettura: 4 min
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