Il suo fondatore ha trascorso fino a 200 notti l’anno all’aperto, scalando montagne. E nel frattempo vendeva attrezzi e vestiti per gli sportivi, dal
Il suo fondatore ha trascorso fino a 200 notti l’anno all’aperto, scalando montagne. E nel frattempo vendeva attrezzi e vestiti per gli sportivi, dal vano della sua Ford del 1940.
La sua vita immersa nella natura gli ha ispirato un business milionario, ma rispettoso dell’ambiente, che oggi decide di destinare dieci milioni di dollari ai gruppi che agiscono per la difesa di aria, acqua e terra.
Lui è Yvon Chouinard e la sua azienda si chiama Patagonia.
Patagonia: 10 milioni di dollari all’ambiente
Dieci milioni di dollari. Questi i soldi che Patagonia può risparmiare grazie a un nuovo taglio di tasse deciso dal governo federale degli Stati Uniti. Soldi che, stando a quanto annunciato da Rose Marcario, la CEO dell’azienda, non resteranno nelle casse del brand.
I repubblicani hanno tagliato dal 35 al 21 per cento le tasse sui profitti delle aziende. Patagonia ha deciso di reinvestire i soldi non nei propri prodotti, ma nel futuro di tutti. I soldi finiranno infatti a enti e associazioni ambientalisti, che “si impegnano nel proteggere l’aria, la terra e l’acqua e nel trovare soluzioni alla crisi climatica”, ha spiegato Marcario.
La CEO ha anche spiegato che la risposta politica ai cambiamenti climatici è stata finora “terribilmente inadeguata”. Secondo la visione di Marcario, le “tasse devono proteggere i più vulnerabili nelle nostre società, i terreni pubblici e altre risorse essenziali per la vita sulla Terra”. Ecco perché Patagonia ha deciso di redistribuire a suo modo quei soldi che sarebbero finiti nelle casse degli Stati Uniti.
Marcario ha anche invitato altre aziende a fare lo stesso:
«Dovrebbero pensare di utilizzare parte del taglio fiscale per investire in energie più pulite, in una supply chain più verde oppure per finanziare gli attivisti che proteggono aria, acqua e suolo».
La mossa di Patagonia, spiega la CEO, arriva anche perché sempre più persone sono interessate non solo alle caratteristiche dei prodotti di un brand, ma soprattutto ai suoi valori:
«Spero che anche altri leader capiscano che i propri consumatori sono preoccupati dalla crisi climatica e vorrebbero che le aziende agissero in fretta. Il tempo sta per scadere».
Storia dello scalatore ribelle che fondò Patagonia
Non è la prima volta che Patagonia usa il proprio appeal per invitare al cambiamento nella gestione delle risorse naturali. Già nei primi anni ’90, ha cominciato infatti a usare cotone bio nei propri capi, inviando al contempo degli esperti per insegnare ad altri brand (come Nike e Gap) a fare lo stesso.
All’inizio degli anni duemila, poi, ha creato insieme al brand Blue Ribbon Flies il movimento “1% for the Planet”, una coalizione di aziende che si impegna a donare l’1% delle proprie vendite ai gruppi ambientalisti. Il brand offre inoltre riparazioni gratuite per i propri abiti: «È la cosa migliore che possiamoo fare per il nostro pianeta: far utilizzare i nostri prodotti il più a lungo possibile», ha spiegato Marcario.
La campagna più nota dell’azienda è arrivata nel 2011. È il Black Friday, il giorno sacrificato più di ogni altro al consumismo sfrenato: Patagonia compra un’intera pagina del New York Times, incoraggiando i consumatori a non comprare i propri prodotti.
La vocazione green dell’azienda è quindi profondamente radicata. E non poteva essere diversamente, conoscendo il suo fondatore.
Lui si chiama Yvon Chouinard e ha trascorso gran parte dei suoi vent’anni tra le montagne del Nord America e sulle Alpi. In questo periodo, vive con 50 centesimi al giorno, con il solo obiettivo di scalare picchi su picchi insieme ai suoi amici.
Chouinard ha 14 anni quando impara a scendere giù dalle scogliere a mani nude. A 16 anni, guida una Ford del 1940 ricostruita per raggiungere il Wyoming: qui trascorre l’estate a imparare come usare i chiodi da arrampicata.
Durante le sue escursioni lunghissime, si ritrova a dover catturare scoiattoli per mangiare. Per spendere meno, campeggia nei parchi e arriva a dormire all’aperto per 200 notti l’anno.
Nel suo libro Let My People Go Surfing. La filosofia di un imprenditore ribelle, Chouinard scrive:
«Eravamo dei ribelli contro la cultura del consumismo».
Nel 1957, a 19 anni, comincia a fabbricare i propri chiodi, avviando una startup chiamata Chouinard Equipment per venderli dal cofano della sua auto. Il suo obiettivo non è diventare ricco, ma semplicemente di guadagnarsi da vivere mentre continua a scalare le montagne in tutto il mondo.
Poi comincia a inserire una serie di prodotti di abbigliamento ed equipaggiamento pensati per gli sportivi: è il 1970, nasce il brand Patagonia. Due anni dopo, l’azienda pubblica il suo primo catalogo: dentro c’è un esortazione agli sportivi a moderare l’impatto sull’ambiente delle loro attività sportive. Nel 1974, Chouinard è quasi costretto a chiudere, perché deve ritirare una partita di magliette difettose, ma riesce a rimettersi in piedi.
Tra la metà degli anni ’80 e il 1990, le revenue passano da 20 a 100 milioni di dollari. E ha continuato a crescere negli anni, pur mantenendo intatta la propria filosofia. Oggi il patrimonio di Chouinard è stimato da Forbes in 1 miliardo di dollari. Ma non chiamatelo businessman:
«Sono stato imprenditore per quasi sessanta anni. È difficile per me pronunciare queste parole. È come se ammettessi di essere un alcolista o un avvocato. Non ho mai rispettato quella professione. Sono le imprese che hanno la maggiore responsabilità per quello che abbiamo fatto alla natura».
Per saperne di più sul successo di Pandora, MGMT Edizioni ha pubblicato il libro Extreme Teams, in cui si raccontano le strategie di sette aziende sulla creazione di team vincenti.
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Il tessile inquina quanto l’Unione Europea
Quello del tessile è un settore particolarmente dannoso per l’ambiente.
Secondo un report pubblicato quest’anno, Measuring Fashion, il mondo dell’abbigliamento sarebbe responsabile per l’8 per cento del totale delle emissioni di gas serra a livello globale. Quasi quanto tutta l’Unione Europea.
Sempre secondo lo studio, se la tendenza non sarà invertita, nel 2030 l’industria dell’abbigliamento arriverà a emettere 4.9 gigatonnellate di biossido di carbonio: l’equivalente degli Stati Uniti d’America.
Il consumo d’acqua è un’altra piaga ambientale collegata al settore tessile. Questo perché a ogni passaggio, la materia prima va lavata e trattata con abbondanti dosi di prodotti chimici di sintesi: dalla fibra, al filato, fino al tessuto e poi all’indumento vero e proprio. E in questi continui passaggi vengono generalmente impiegate grosse quantità di candeggina e coloranti.
Ecco perché è essenziale che altri brand come Patagonia facciano il possibile per limitare il proprio impatto sull’ambiente.
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