La nuova plastica? Prodotta dagli scarti del pesce: l’idea sostenibile di una 24enne

La nuova plastica? Prodotta dagli scarti del pesce: l’idea sostenibile di una 24enne

Due problemi apparentemente distanti (il packaging monouso e gli scarti di pesce), un’unica soluzione: MarinaTex, plastica bio che potrebbe tagliare il consumo di centinaia di migliaia di tonnellate di plastica.

Il quaranta per cento della plastica impiegata nel packaging è utilizzata una sola volta e poi buttata via. La statistica è globale: parliamo quindi

Il quaranta per cento della plastica impiegata nel packaging è utilizzata una sola volta e poi buttata via. La statistica è globale: parliamo quindi di centinaia di migliaia di tonnellate. Per avere un’idea di quanto questo materiale faccia parte della nostra vita, pensiamo per esempio a Unilever – colosso globale, proprietario di centinaia di marchi di prodotti di uso quotidiano (Algida, Dove e Knorr per citare solo alcuni dei più noti) – che ogni anno dichiara di utilizzare 700mila tonnellate di plastica in packaging.

Affianchiamo a questa statistica un altro dato, solo apparentemente non connesso al primo. Secondo le Nazioni Unite, il 27 per cento del pesce catturato in mare e riportato a terra non viene mai utilizzato.

La plastica nelle confezioni dei nostri prodotti e pesci e frutti di mare non utilizzati hanno una correlazione imprevista: confluiscono nel nome di una 24enne neo-laureata in design, da Twickenham, che risponde al nome di Lucy Hughes.

Ecco come la sua invenzione potrebbe contribuire a salvare gli oceani dalla plastica.

MarinaTex

Guardando un documentario in TV, Lucy scopre dell’esistenza delle bioplastiche fatte di alghe rosse, come sostituto della plastica tradizionale, e decide di inventare da zero qualcosa di simile. Consapevole del fatto che quasi 500mila tonnellate di scarti di pesce sono prodotti ogni anno solo dall’industria alimentare del Regno Unito, decide di cominciare a studiare meglio questi “rifiuti”. L’obiettivo? Creare una plastica organica da impiegare come packaging, che sia biodegradabile e che utilizzi scarti di altre produzioni:

«I rifiuti hanno un valore: quando possibile, dovremmo cercare di guardare ai materiali di scarto [per produrre], piuttosto che ai materiali vergini», spiega.

Il processo di ideazione è spesso poco piacevole.

«Ho iniziato a macinare squame utilizzando estrattori o pestello e mortaio, nella mia cucina. Molti scarti, all’inizio, finivano per ammuffirsi: in quei momenti mi chiedevo “Cosa diavolo sto facendo?”. Amici e famiglia mi hanno dato della pazza. Anche perché scavavo tra gli scarti delle cucine nel dormitorio dell’Università e a casa dei miei, a Londra. Tutti dovevano sopportare la mia puzza di pesce».

Gli esperimenti di Lucy vanno avanti per tre/quattro mesi. Ogni giorno, l’allora studentessa della University of Sussex cerca di perfezionare il processo di produzione e la formula.

Durante questo periodo, riesce anche ad assicurarsi una visita “guidata” in un impianto di trasformazione del pesce nei pressi della sua università, sulla costa sud dell’Inghilterra. Anche qui è coperta di puzza di pesce (“Ho dovuto lavare persino le scarpe”, racconta). Capisce però di dover impiegare sia le lische che la pelle degli animali marini, ma che deve anche individuare un legante, in modo che il suo materiale – una volta “frullato” – riesca a mantenersi insieme.

Comincia a sperimentare con diversi altri scarti marini: dalle alghe al chitosano presente nei gusci dei frutti di mare, prova più di 100 combinazioni diverse. Tanti “fallimenti” che però le permettono di imparare.

«Più andavo avanti, più imparavo: non mi lasciavo scoraggiare da quello che non funzionava».

 Alla fine, il materiale migliore si rivelerà quello proveniente dall’alga rossa. Ecco quindi creato il MarinaTex, materiale biodegradabile in un periodo che va dalle quattro alle sei settimane: un vantaggio rispetto ad altre bioplastiche sul mercato, che in genere possono essere scomposte solo con l’utilizzo di una compostiera. Il materiale è forte, flessibile, traslucente e somiglia a un comune foglio di plastica. Oltre a essere creato da materiali di scarto, il processo di produzione utilizza poca energia, dal momento che non richiede temperature elevate. Secondo i primi dati forniti dalla creatrice, gli scarti di un solo merluzzo nordico (Gadus morhua) possono essere sufficienti per creare 1.400 buste in MarinaTex.

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Il premio

MarinaTex ha già conquistato servizi e paginate su giornali e TV di mezzo mondo. Grazie soprattutto a un premio assegnatogli dalla James Dyson Foundation, organizzazione caritatevole del designer e imprenditore britannico Sir James Dyson. Il premio ha l’obiettivo di spingere i più giovani a creare “design che risolvono un problema”. Aperto a studenti e neo-laureati in product design (come Lucy Hughes), industrial design e ingegneria, il premio si divide in una prima competizione nazionale e in una finale nazionale, che quest’anno ha coinvolto 1.078 progetti da 28 diversi Paesi.

Nelle parole dello stesso Dyson, il premio nasce dalla convinzione che giovani designer e ingegneri “abbiano la passione, la consapevolezza e l’intelligenza necessarie per risolvere alcuni dei problemi più grandi del mondo”.

Lucy si è prima assicurata la competizione nel Regno Unito, con un premio da 2mila sterline. A novembre, poi, si è aggiudicata il premio finale internazionale, da 30mila sterline, più altre 5mila che la sua università gli ha concesso.

«In definitiva – ha commentato Dyson – abbiamo deciso di scegliere l’idea di cui il mondo non può fare a meno. MarinaTex risolve in maniera elegante due problemi: l’onnipresenza della plastica monouso e gli scarti ittici».

Il percorso di Lucy è appena agli inizi. “Il prossimo step è la produzione: devo capire in che modo posso realizzare in massa il MarinaTex”, ha spiegato la creatrice.

Oltre ai fondi dei premi ricevuti, la creatrice spera di poter ricevere anche dei fondi pubblici con cui partire. Anche perché la commercializzazione richiederà la creazione di nuove infrastrutture di produzione, attualmente inesistenti.

La prima applicazione pratica dovrebbero essere i sacchetti per i prodotti da forno: packaging che “a volte viene utilizzato per un totale di 15 secondi”, come ha spiegato la stessa Hughes. Accanto a questo, i primi prodotti potrebbero riguardare il packaging per sandwich e piccole buste per la spesa.

Sul lungo periodo, spiega ancora l’inventrice, “l’obiettivo è di educare consumatori e produttori nello scegliere opzioni più sostenibili”.

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La nuova plastica? Prodotta dagli scarti del pesce: l’idea sostenibile di una 24enne

di Carmen Guarino Tempo di lettura: 4 min
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