La pubblicità che ha cambiato per sempre il modo di fare pubblicità

La pubblicità che ha cambiato per sempre il modo di fare pubblicità

Dopo quasi 50 anni di spot, la Pepsi Generation ideata da Alan Pottasch modella ancora l’immagine del brand. E quella di molti altri. Ecco com’è nata e cosa significa nell’era dei social.

Dopo la Pepsi Generation, la pubblicità è cambiata per sempre. Dagli anni ’60, gli spot e i manifesti pubblicitari non parlano più dei prodotti, ma de

Dopo la Pepsi Generation, la pubblicità è cambiata per sempre. Dagli anni ’60, gli spot e i manifesti pubblicitari non parlano più dei prodotti, ma delle persone. E di come queste persone si sentono usando quei prodotti.

Questa è la storia dell’ideatore di quella campagna pubblicitaria e del suo successo straordinario, che perdura ancora oggi.

L’intuizione di un genio

Alan Pottasch è stato uno degli uomini di punta del reparto pubblicità della Pepsi. Assunto nel 1963, ha davanti a sé un compito arduo: dare un’identità a un marchio che fino a quel momento si è dimostrato etereo, senza nerbo. A peggiorare le cose, il fatto che il principale competitor è Coca Cola, un brand che vende sei volte tanto la Pepsi alla fine degli anni ’50 e che ha convinto tutti di essere la bevanda analcolica americana per eccellenza, con le sue bottiglie di vetro e le pubblicità con Babbo Natale.

Per di più, i due prodotti sono praticamente identici: entrambi analcolici, gusto simile, colore uguale, ricetta quasi combaciante. Come fare, dunque, a distinguersi? Ci vuole l’intuizione di un genio.

Pottasch è probabilmente il primo a rendersi conto che la generazione dei baby boomer, quella composta dai primi nati dopo la seconda guerra mondiale, è molto diversa dalle precedenti. Un sentimento giovanile, ottimista, spensierato serpeggia tra i nuovi adolescenti.

Per capire a fondo questa nuova generazione che si affaccia all’orizzonte in America, Pottasch segue una strada alternativa. In genere, i pubblicitari in questo periodo si rivolgono al dipartimento di ricerche aziendali, un team che produce periodicamente numeri e statistiche sugli ultimi trend. Ma Pottasch vuole “toccare” con mano i nuovi sentimenti in fermento: lancia un contest, una sorta di campagna di crowdsourcing ante litteram, per capire quale sarà il nuovo slogan dell’azienda. In palio c’è un’auto. Più importante del vincitore, però, sarà l’innumerevole quantità di suggerimenti e consigli che gli arriveranno: uno spaccato vero e vitale, dalla viva voce della nuova generazione. È la Pepsi Generation.

E sarà proprio “Pepsi Generation”, slogan ideato da una delle partecipanti al contest, Ellen Reimer, ad accompagnare cartelloni e pubblicità in tutti gli Stati Uniti: giovani in spiaggia o sciatori, tutti si divertono e bevono Pepsi nei manifesti e sui giornali. Se oggi vi sembrano idee banali è solo perché quella campagna ha fatto la storia come nessun’altra prima.

“You’ve got a lot to live. Pepsi’s got a lot to give”; “Have a Pepsi Day”, sono solo alcuni dei messaggi d’impatto che la campagna della Pepsi Generation ha coniato (e che continua in altre forme ancora oggi).

Dopo questi spot, Pepsi non è più solo il nome di una bevanda analcolica: è un brand che trasmette un nuovo stile di vita.

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Dal prodotto al consumatore

Primo nella storia, Pottasch è convinto che la pubblicità debba “smetterla di parlare del prodotto e cominciare a parlare dell’utente”. Non sono più le caratteristiche della bevanda a definire il messaggio pubblicitario, ma la percezione che il consumatore ha di se stesso. È lo stile di vita correlato al prodotto di consumo a essere al centro del messaggio.

Come spiega Tim Wu nel suo The Attention Merchants: How Our Time and Attention Are Gathered and Sold:

«Pottasch concepiva il marketing non come una lista delle qualità innate [del prodotto], ma concentrandosi piuttosto sull’immagine delle persone che lo compravano, o che avrebbero dovuto farlo».

Nei suoi spot, la Pepsi degli anni ’60 mostra alle persone della “Pepsi Generation” quali caratteristiche assumono, comprando e consumando la bevanda. Mostra loro come appaiono agli occhi di se stessi e degli altri bevendo la Pepsi.

L’intuizione di Pottasch è sociologica, oltre che commerciale.

Con quelle pubblicità, viene proposta l’immagine di una nuova generazione, la prima libera dai diktat manipolatori del consumismo perpetrati dai mass media. Paradossalmente, Pepsi è riuscita proprio a trasmettere il messaggio che acquistando la sua bevanda, un consumatore avrebbe dato l’immagine di non essere un consumatore, di non essere cioè schiavo delle aggressive campagne marketing trasmesse h24 dai media. Come ha spiegato lo stesso Pottasch:

«Quello che bevevi diceva qualcosa su ciò che eri. Abbiamo creato l’immagine del nostro consumatore come di una persona attiva, vitale e giovane nel cuore».

I capelli di Michael Jackson

Il successo della campagna è tale che modellerà le pubblicità della Pepsi per decenni a venire. Durante l’ultimo Super Bowl, l’azienda ha trasmesso uno spot che richiama lo slogan, “This is the Pepsi for every generation”:

Nel giro di un decennio, la Pepsi recupera quote di mercato significative sulla Coca. E quando Pottasch vuole andare in pensione, viene convinto dal management a restare, almeno come consulente. È il 1983 e Thriller, pezzo immortale di Michael Jackson, è già da un anno nelle classifiche dei dischi più venduti al mondo.

A novembre, Pepsi chiude un accordo da 5 milioni di dollari con l’artista, legando a sé la sua immagine per dieci anni. Anche con Jackson, tutto si basa sull’idea originaria di Pottasch. Lo slogan stavolta è “New Generation”:

«L’idea era di far apparire Pepsi giovane e la Coca Cola vecchia: Michael Jackson era la scelta di quella nuova generazione», ha spiegato Jay Coleman, fondatore dell’agenzia che ha chiuso tutti e tre gli accordi tra Jackson e la Pepsi.

Come si sente nello spot, Jackson non si limita a fare da comparsa. Suggerisce infatti di usare la sua canzone “Billie Jean”, ma con un ritornello diverso:

You’re the Pepsi generation

Guzzle down and taste the thrill of the day

And feel the Pepsi way

Nel 1984, grazie a questo spot, Pepsi chiude con 7,7 miliardi di dollari di vendite, mentre la Coca Cola è in crisi.

Un altro evento ha contribuito a rendere leggendaria la pubblicità. Durante le registrazioni, i capelli del cantante accidentalmente vanno a fuoco. Come ha scherzato anche Pottasch, “per poco non sono stato ricordato solo per essere colui che ha dato fuoco ai capelli di Michael Jackson”.

L’era dei social

L’interessante conclusione, a cui arriva Zander Nethercutt su Medium analizzando la storia della Pepsi Generation, è che le persone non comprano prodotti, ma versioni migliori di sé stesse.

Una lezione che anche altri brand hanno imparato nel corso degli ultimi decenni. Un esempio secondo Nethercutt è Apple, con la sua campagna “Think Different”:

«Le persone – scrive Nethercutt – non comprano dei prodotti per quello che i prodotti possono fare. Li comprano per ciò che loro stessi possono fare – o immaginano di poter fare – con essi».

In gioco non ci sono quindi tanto le caratteristiche o il rapporto qualità/prezzo. In gioco c’è l’identità delle persone: cosa un acquisto dice di me alle persone. È la logica della moda, che si estende anche ad altri tipi di prodotti.

È la logica, oggi, dei social:

«È ormai chiaro come i social media contribuiscano alla creazione della nostra identità […] Abbiamo una forte consapevolezza del fatto che tutto ciò che facciamo e diciamo – anche per cose apparentemente senza significato, come le scarpe che indossiamo e la compagnia aerea con cui voliamo – ha un riflesso su di noi».

Abbiamo imparato – che sia giusto o sbagliato non è nostro compito dirlo in questa sede – a “dare priorità alla percezione esterna su qualunque altra considerazione”, spiega Nethercutt. È diventato quasi un dovere quindi per i brand “farci sentire come vogliamo sentirci”.

Grazie ai social gli esperti di marketing hanno un’arma in più: possono oggi osservare direttamente le persone a contatto con il proprio brand e capire come si sentono quando lo usano. Una potenzialità che permette di valutare di volta in volta i valori di un brand, di un prodotto, per come sono percepiti dall’audience:

«I consumatori, aiutati dai social, sono diventati molto più consapevoli della propria identità in relazione ai prodotti che usano. Molto più di quanto persino in Pepsi abbiano mai immaginato. In questa società di consumatori ultra-coscienti, i brand di successo sono quelli che riescono a far sentire i consumatori come vorrebbero sentirsi».

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La pubblicità che ha cambiato per sempre il modo di fare pubblicità

di Gennaro Sannino Tempo di lettura: 5 min
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