Quando l’influencer è un cane: ora anche gli animali vendono su Instagram

Quando l’influencer è un cane: ora anche gli animali vendono su Instagram

L’Influencer Marketing è in continua crescita, così come la popolarità di foto e video con cani e gattini come protagonisti. C’è chi ha pensato di unire i due trend e far nascere i “pupfluencer”, gli influencer animali.

Prodotti per il benessere degli animali (pensiamo al classico antipulci). Giocattoli. Abbigliamento. Cibo per animali. Sono tante le aziende e i brand

Prodotti per il benessere degli animali (pensiamo al classico antipulci). Giocattoli. Abbigliamento. Cibo per animali. Sono tante le aziende e i brand che possono essere interessati alla popolarità delle celebrità ‘canine’ sui social media, animali che spesso arrivano a raggiungere centinaia di migliaia (se non milioni) di follower, soprattutto su Instagram. Una popolarità enorme, che qualcuno ha pensato di sfruttare per pubblicizzare prodotti e servizi.

Nasce la figura del pupfluencer, il cucciolo-influencer, e nuove professionalità, come l’agente per cani celebri. Proviamo a dare uno sguardo d’insieme al fenomeno, che impazza negli States.

L’evento a Central Park

Gli influencer canini devono rappresentare uno sviluppo importante nel marketing online, se il New York Times vi ha dedicato un reportage in Central Park. Il marchio Scotch-Brite, di proprietà della 3M, è noto in tutto il mondo per i suoi prodotti per la pulizia della casa. Per sponsorizzare il suo “Lint Roller”, un rullo leva-peli, ha organizzato un evento nel parco pubblico più famoso di New York City. Ha quindi piazzato un divano verde lime (un colore facilmente associabile al brand) in mezzo a un giardino, appoggiandoci sopra cuscini di vario tipo con il logo di Scotch-Brite.

Ma i veri protagonisti erano i cani, anche loro ‘vestiti’ con i colori del brand: indossavano una bandana giallo-verde con il logo di Scotch-Brite. La particolarità è che non si trattava di cani qualsiasi, ma di vere e proprie celebrità.

Il New York Times li chiama pupfluencer, termine che nasce dalla fusione tra puppy (cucciolo) e influencer. C’era Toast, una piccola cocker spaniel salvata da una puppy mill, sorta di ‘fabbrica’ dove le femmine di razza vengono sfruttate per ‘produrre’ quanti più cuccioli possibili. Il suo account su Instagram @toastmeetsworld ha oggi quasi 380mila follower. La sua particolarità? La lingua, costantemente penzoloni. C’era poi Louboutina, golden retriever conosciuta come “the hugging dog”, il cane che abbraccia, perché spesso è ritratta con le zampe anteriori intorno al busto di pupazzi, bambini e adulti. Oggi il suo account su Instagram @louboutinanyc ha 168mila follower.

C’era poi Sprout, un Griffone di Bruxelles da 68mila follower, il cui padrone rispondeva in modo serio a una domanda sul rullo leva peli: “È un oggetto molto importante per me”.

Il processo era inevitabile. Solo su Instagram, secondo le stime di Mediakix agenzia specializzata in marketing online, il mercato dell’Influencer marketing vale già oggi 1 miliardo di dollari. E potrebbe raddoppiare entro due anni. Se a questi dati aggiungiamo l’estrema popolarità di cani, gatti e altri animali sui social media, possiamo immaginare quanto valga un connubio tra le due realtà.

Le potenzialità del settore sono state colte da Dog Agency, agenzia di comunicazione specializzata in pupfluencer, la stessa che ha procurato a Scotch-Brite i protagonisti per l’evento a Central Park. Per contratto, i cani coinvolti dovevano poi postare su Instagram una fotografia dell’appuntamento.

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I pupfluencer che valgono anche 10k $ a post

Dog Agency, che ha base a New York, vanta di essere la prima agenzia a rappresentare gli interessi degli animali celebri sui social. Ha oggi al suo attivo nella propria scuderia circa 80 animali, perlopiù cani, ma può contare anche su un porcospino, su un maiale e un paio di scimmie nane da più di un milione di follower.

Tutto è nato da Loni Edwards, proprietaria di un bulldog francese di nome Chloe, che oggi ha 171mila follower su Instagram con il nickname The Mini Frenchie. Chloe è oggi ‘specializzata’ in prodotti relativi al Food, al Travel e al Fashion. Ma Edwards non aveva in programma di creare un brand, né tantomeno un influencer. Voleva semplicemente divertirsi:

«Quando ho creato l’account per Chloe, non volevo che diventasse un’influencer. Era semplicemente un modo per mostrare le fotografie del mio cane, rendendo felici le persone», ha spiegato Edwards al Washington Post.

Lei è infatti un avvocato, con una laurea in legge ad Harvard: un lavoro full-time, di certo non sottopagato. Quando comincia a scattare foto alla sua cagnolina lo fa quindi per gioco. Finché i follower non hanno cominciato ad aumentare, insieme ai primi contratti con brand e sponsor per ‘usare’ il volto di Chloe. Si è poi resa conto che i padroni dei cani più popolari del web non avevano tempo per gestire le carriere dei propri animali, visto che tutti avevano già un lavoro full-time. Decide quindi di lasciare l’avvocatura e lancia Dog Agency, mettendo insieme brand e pupfluencer, gestendo poi l’immagine di cani e gatti sui social.

Secondo quanto rivela la stessa Edwards, un animale che ha qualche centinaia di migliaia di follower può sperare di chiudere contratti importanti: tra i 3mila e i 10mila dollari per ogni contenuto pubblicato. Dog Agency trattiene poi una commissione per la gestione del contatto.

Pupfluencer: perché funzionano?

Le cifre sono molto alte, il business c’è. Ma perché i brand si rivolgono proprio agli animali? Come scrive Andy Newman, che tiene la rubrica Pet City per il New York Times, gli aspetti da tenere in considerazione sono almeno due.

Gli animali domestici dimostrano autenticità. E i loro padroni sono molto attenti a trasmettere questa immagine. Stephanie Zheng, proprietaria del porcospino Atticus (@atticusthehedgie, 79k follower su Instagram), spiega per esempio che lavora “solo con i brand che usiamo”, proprio “per restare autentici”.

È questa la ragione per cui, per esempio, Jessica K. (intervistata dal NYT che ha preferito non rivelare il suo cognome) ha deciso di abbandonare proprio Dog Agency. L’agenzia le aveva proposto un contratto con Purina, per del cibo per animali da sponsorizzare con il suo Goldendoodle di nome Samson (165k follower su Instagram). Ma era un prodotto che il cane non mangiava: “Non farò promuovere a Samson un prodotto che non mangia”, ha spiegato.

Il secondo aspetto da tenere in conto è che cani, gatti e altri animali rendono le persone felici, anche se solo attraverso foto e video su Instagram. E questo crea una connessione emotiva formidabile tra i follower e il protagonista degli scatti.

Un esempio di questo è Glee (@goldens_glee, +300k follower su Instagram), golden retriever di 6 mesi. Il suo proprietario, l’avvocato Jared Kasner, ha lanciato una campagna sui social chiedendo alle persone per strada “What Makes You Gleeful?”, “Cosa ti rende allegro?”. Kosner pubblicava poi le risposte insieme alle fotografie di Glee con le persone intervistate.

È importante quindi mantenere l’aspetto ludico e umano della propria attività sui social, senza strafare con la pubblicità. Ecco perché molti cani di successo abbracciano cause umanitarie e campagne di sensibilizzazione. Tutto rigorosamente no-profit.

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Quando l’influencer è un cane: ora anche gli animali vendono su Instagram

di Carmen Guarino Tempo di lettura: 4 min
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