“Mi dicevano che ero pazzo: ora la mia azienda vale più di un miliardo”

“Mi dicevano che ero pazzo: ora la mia azienda vale più di un miliardo”

La storia del fondatore di Beyond Meat, che propone carne vegana, “creata” quindi a partire da fonti vegetali. Sbarcata in borsa, l’azienda oggi è valutata a 1,5 miliardi di dollari.

Vendere carne, senza carne. È questa la sfida che alcuni imprenditori visionari portano avanti già da diversi anni. Tra i primi Beyond Meat, fondata

Vendere carne, senza carne. È questa la sfida che alcuni imprenditori visionari portano avanti già da diversi anni. Tra i primi Beyond Meat, fondata nel 2009, che di recente è sbarcata in borsa con una valutazione di 1,5 miliardi di dollari.

Gli investitori sono quindi convinti che il mercato è pronto. E in effetti i primi numeri gli danno ragione. Negli Stati Uniti, a marzo 2019, la carne a base di vegetali ha raggiunto 888 milioni di dollari di vendite, con un incremento del 42 per cento nel giro di tre anni. Nello stesso periodo, la carne “tradizionale” ha registrato un aumento dell’1 per cento (anche se ovviamente il mercato oggi vale ancora molto di più: 85 miliardi).

Ma il mercato è globale. Secondo un report di MarketsandMarkets, oggi il settore vale già 12 miliardi ed entro il 2025 potrebbe arrivare a circa 28 miliardi.

Ma per arrivare a questi risultati, alcuni imprenditori visionari hanno dovuto investire tempo e risorse. È la storia appunto del fondatore di Beyond Meat, Ethan Brown, che dieci anni fa ha puntato tutto sull’hamburger vegano, malgrado amici e familiari lo considerassero pazzo.

Dall’energia alla carne per amore dell’ambiente

Brown racconta che, dopo aver concluso gli studi, non ha ben chiaro di cosa occuparsi:

«Mio padre mi ha chiesto: “Cosa vuoi fare nella vita?”. Ma non ne avevo idea. E quindi mi ha chiesto: “Qual è il più grande problema che il mondo deve affrontare?”. Ho risposto: “Il clima”».

Brown capisce in quel momento che se non affrontiamo seriamente il discorso sul climate change, nient’altro avrà più alcuna importanza. Decide quindi di entrare nel settore dell’energia, che è il più tradizionalmente legato ai problemi ambientali: “Ci sono rimasto per anni e l’ho amato”, spiega Brown.

Almeno finché non si rende conto del problema degli allevamenti legato ai cambiamenti climatici:

«Mucche, galline e maiali consumano incredibili quantità di vegetazione e bevono tonnellate d’acqua».

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Oltre a essere un problema ambientale, spiega Brown, questo gli sembra un incredibile spreco di risorse, che nessun business sensato può permettersi:

«La carne è piuttosto semplice: ci sono aminoacidi, lipidi, tracce di minerali, una quantità molto piccola di vitamine e acqua. Gli animali sfruttano questi elementi per creare questa meravigliosa struttura che noi tutti chiamiamo carne. Ma non venite a dirmi che, oggi, non abbiamo la capacità di crearla direttamente».

Si decide quindi a creare carne dalle piante, in modo tale da impattare su alcuni dei più grandi problemi dell’umanità oggi: dal clima alle risorse naturali, ma anche sulla salute umana e animale. “Ecco la mia chance per cambiare il mondo”, ricorda di aver pensato.

Nel 2009 fonda allora Beyond Meat, facendosi aiutare da due professori della University of Missouri: Fu-hung Hsieh e Harold Huff, che già dagli anni ‘80 provano a sviluppare “pollo” a base di soia.

Dall’auto-finanziamento alla IPO

Famiglia e amici, vedendolo impegnarsi in un’iniziativa così apparentemente senza senso, cominciano a mettere in dubbio la sua idea, considerata un po’ folle. Ma Brown va avanti, incapace, come racconta, di distinguere “tra coraggio e disperazione”, come canta Springsteen.

Inizialmente, mette soldi suoi nell’impresa, prima di riuscire a convincere (grazie alla sua grande passione nel progetto) anche parenti e amici a dargli una mano. Nel 2011, la prima svolta: Kleiner Perkins, fondo di Venture Capital di Menlo Park, decide di finanziare la startup. Negli anni arriveranno altri investitori di peso, del calibro di Leonardo Di Caprio e Bill Gates.

Quando inizia la commercializzazione, Brown e soci perfezionano continuamente il prodotto grazie ai feedback dei consumatori:

«Non avendo cominciato con fondi di venture capital, abbiamo iniziato ad ascoltare di più i nostri consumatori (sono loro a pagare le bollette). Creando così un sistema fantastico: loro ci incoraggiano, noi facciamo meglio; arrivano nuovi consumatori, facciamo ancora meglio. Infine, siamo arrivati al punto che i nostri prodotti sono indistinguibili dalle proteine animali».

Tra i primi grossi partner a distribuire i prodotti Beyond Meat, Whole Foods, catena di negozi statunitense di proprietà di Amazon, tra le più note al mondo. Oggi i prodotti di Brown sono disponibili in circa trentamila negozi, ristoranti e scuole, in diversi Paesi: Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Israele e anche in Italia.

A maggio 2019 arriva l’approdo in borsa, al Nasdaq. Durante l’IPO, Beyond Meat raccoglie circa 240 milioni di dollari, vendendo 9,6 milioni di azioni, a 25 dollari l’una, per una valutazione complessiva dell’azienda di 1,5 miliardi.

Una giornata che Brown definisce “straordinaria”, anche se non è una sorpresa: “Vista l’opportunità, non mi sorprende che le persone abbiano voluto credere nell’azienda”, racconta. L’IPO però serve anche da stimolo:

«C’è tanto lavoro da fare e tanta urgenza nel riuscirci. Come possiamo raggiungere i nostri risultati più velocemente?».

Competitor, valori nutrizionali, prezzo: le sfide per Beyond Meat

Malgrado il successo, infatti, non mancano le sfide per Beyond Meat.

A oggi, l’azienda non ha ancora chiuso un anno in profitto e nel 2018 ha perso 30 milioni di dollari, anche se nello stesso anno le revenue sono aumentate del 170 per cento rispetto al 2017, raggiungendo gli 87,9 milioni di dollari.

Sul mercato, poi, stanno arrivando nuovi competitor come Impossible Foods e anche player tradizionali stanno cercando il modo per approfittare del trend: è il caso di Tyson Foods, che aveva inizialmente comprato una quota in Beyond Meat, per poi venderla per sviluppare la propria alternativa alle proteine animali.

Esistono inoltre alcune considerazioni da fare sugli effettivi benefici per la salute umana dei nuovi hamburger “vegani”. Un hamburger magro del brand Laura’s Lean Beef è stato comparato al Beyond Meat: mentre il primo ha più grassi e colesterolo, il secondo contiene maggiori quantità di sodio e carboidrati, con meno proteine (anche se di poco). Il prodotto Beyond Meat apporta infine 270 calorie alla dieta, quasi il doppio delle 160 del Lean Beef.

Brown ha già dichiarato che sta lavorando per ridurre il sodio nella sua “carne”, ma sottolinea che il paragone in ogni caso non regge, dal momento che la carne rossa è stata classificata come un possibile cancerogeno dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Un problema comune delle cosiddette proteine alternative è poi il costo. Il confronto è ancora con Laura’s Lean Beef: con 6 dollari, i consumatori possono comprare due hamburger Beyond Meat da 4 once (circa 110 grammi), mentre il competitor ne offre quattro allo stesso prezzo.

Anche qui per Brown la strategia è chiara:

«Ho stabilito, come obiettivo interno all’azienda, che nel giro di cinque anni avremo almeno un prodotto che costa meno rispetto alle proteine animali».

Investire in questi e altri obiettivi non sarà però un’operazione economica. L’azienda dà lavoro a 63 tra scienziati, ingegneri, ricercatori, tecnici e chef, nel suo laboratorio in California e prevede che spenderà tra i 40 e i 50 milioni di dollari per il perfezionamento degli impianti di produzione e tra i 50 e i 60 per lo sviluppo del prodotto.

Quello su cui pare ci siano pochi dubbi sono però gli effettivi benefici per l’ambiente. Secondo la stessa Beyond Meat, i suoi hamburger senza carne consumano meno acqua per il 99 per cento, meno terreni per il 93 per cento e generano il 90 per cento in meno di gas serra rispetto a un hamburger di manzo.

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“Mi dicevano che ero pazzo: ora la mia azienda vale più di un miliardo”

di Giancarlo Donadio Tempo di lettura: 5 min
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