In questo grafico, realizzato dall’Istat, è presentata la percentuale di italiani molto o abbastanza soddisfatti per il proprio posto di lav

In questo grafico, realizzato dall’Istat, è presentata la percentuale di italiani molto o abbastanza soddisfatti per il proprio posto di lavoro. Le percentuali sono in crescita, soprattutto al centro-sud, ma resta un’ampia fetta di popolazione (circa un quarto del totale) che pensa di poter avere di meglio.
Anche se in alcuni casi è indispensabile lasciare un impiego per cercare altro, a volte è possibile cambiare il proprio lavoro “dall’interno”: cambiare cioè il nostro approccio a esso, definire diversamente le proprie mansioni e così via.
Scopriamo in che modo.
Che cos’è il job crafting
È il 2001 quando, per primo, un gruppo di psicologi statunitensi conia il concetto di job crafting. La parola craft ha a che fare con l’artigianalità, la manualità, il modellare. Job Crafting è quindi la capacità di rimodellare il proprio lavoro (job) in modo che sia più confacente alle nostre esigenze.
In un modo o nell’altro, quasi tutti i compiti che svolgiamo al lavoro possono essere rimodellati. Anche quelli più meccanici, anche se non siamo lavoratori autonomi e dipendiamo da qualcun altro. A volte il cambiamento riguarda semplicemente l’atteggiamento mentale che abbiamo nei confronti del lavoro.
Tra le prime ricercatrici nell’ambito del Job Crafting, troviamo Jane E. Dutton, professoressa di Business Administration e Psicologia alla School of Business della University of Michigan, e Amy Wrzesniewski, professoressa di comportamento organizzativo a Yale.
Per 20 anni ormai, le due ricercatrici hanno studiato il comportamento di lavoratori e lavoratrici in diversi settori: dagli inservienti in ospedale, agli operai manifatturieri, fino ai lavoratori nel mondo non-profit e nel tech.
Secondo Dutton e Wrzesniewski, esistono almeno tre forme possibili di job crafting:
- Task crafting, il rimodellamento dei propri compiti: avviene quando si modificano il tipo, lo scopo, la sequenza e il numero dei compiti che completiamo a lavoro
- Relationship crafting, il cambiamento delle interazioni, in cui si correggono invece le interazioni con le persone con cui lavoriamo
- Cognitive crafting, quando infine si trasforma il nostro atteggiamento mentale nei confronti del lavoro e dei compiti che eseguiamo.
Il Job Crafting in pratica: 3 storie
Dutton e Wrzesniewski illustrano tre storie reali che esemplificano i tre modelli di job crafting appena elencati.
La prima riguarda Candice Walker, addetta alle pulizie presso un ospedale universitario. Non era facile per lei cambiare i compiti di cui si occupava, ecco perché ha lavorato molto sul suo approccio mentale al lavoro, così come sulle relazioni con le persone.
Candice parla dell’ospedale come della “causa della speranza”, dove anche lei ha un ruolo nel rendere migliore la vita dei pazienti e delle loro famiglie. Anche lei, si è detta, poteva in qualche modo essere una “curatrice”, una persona che cioè si prende cura degli altri. Ha quindi cominciato a creare dei veri legami con i pazienti e le famiglie, facendo semplici domande – senza apparire invadente – sulla loro situazione. In questo modo poteva capire quando i pazienti richiedevano attenzioni “speciali”: anche una semplice chiacchierata nei momenti di maggiore paura o solitudine poteva far molto.
Nel lavoro di tutti i giorni poi, presta maggiore attenzione ai dettagli: anticipa tutte le forniture di prodotti prima che finiscano, in modo da dare ai pazienti la sensazione che tutto sia sotto controllo; oppure, durante la stagione fredda, dedica ancora più attenzione alla pulizia dei bagni, in modo da non mettere ulteriormente in pericolo gli ammalati.
Quello di Candice è un chiaro esempio di cognitive crafting, che l’ha aiutata, spiegano le ricercatrici, a trovare un più grande significato al proprio lavoro.
L’approccio di Rachel Heydlauff è stato invece un mix di task e relationship crafting. Lavora per Root Inc., azienda di consulenza specializzata nel miglioramento dell’organizzazione delle imprese. Incoraggiata dai suoi datori di lavoro, Rachel ha introdotto nelle sue abitudini quotidiane la sua passione per un modello organizzativo particolare, di cui è stata sempre affascinata, chiamato POS (Positive Organizational Scholarship). Ha cominciato a proporre dei workshop gratuiti sul POS ai propri clienti, così come ai colleghi, anche se questo non rientrava nelle sue mansioni. Via via ha cominciato a trasformare il proprio lavoro, rendendo il POS il centro delle sue attività, riuscendo a diventare anche un’esperta riconosciuta al di fuori della propria azienda.
Dal punto di vista relazionale, invece, la consulente ha cercato di creare delle connessioni emotive più profonde con clienti e colleghi. Un esempio? Arriva sempre in anticipo alle riunioni, per dedicare a qualcuno degli altri partecipanti qualche minuto per saperne di più dei suoi interessi e passioni.
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L’ultimo esempio presentato da Dutton e Wrzesniewski riguarda invece Jake (nome di fantasia), dipendente di lungo corso di Burt’s Bees, azienda che produce prodotti ecosostenibili per l’igiene personale. Il suo lavoro non offre molto spazio alla fantasia: Jake mescola i componenti dei vari prodotti, seguendo istruzioni molto rigide. Inoltre, nel suo lavoro l’interazione con gli altri è ridotta all’osso. Per quanto si ritenga molto socievole, Jake ha quindi poche possibilità di esprimere la sua personalità al lavoro. Finché non ha deciso di cambiare il suo atteggiamento relazionale.
Affascinato dalla strumentazione tecnica dell’impianto in cui lavora, ha iniziato a interagire con molti degli ingegneri che ne erano responsabili, facendo domande e persino partecipando ai loro meeting. Apprese tutte quelle informazioni, è riuscito a migliorare l’efficienza del suo lavoro, insegnando poi anche ai nuovi dipendenti a fare altrettanto, interagendo quindi con loro in maniera proficua. Si è poi unito a Eco-bees, gruppo di dipendenti che dedicano grandi sforzi nel migliorare ulteriormente la sostenibilità dell’azienda per cui lavora, riducendo la quantità di rifiuti e coordinando le azioni di tutti i reparti. In questo caso, il cambiamento delle mansioni è andato di pari passo con una trasformazione relazionale, che l’ha portato a lavorare finalmente a contatto con gli altri.
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