Prendersi una pausa è una cosa importantissima per ricaricare la mente. Per quanto sia essenziale, però, spesso non siamo in grado di capire come st
Prendersi una pausa è una cosa importantissima per ricaricare la mente. Per quanto sia essenziale, però, spesso non siamo in grado di capire come staccare veramente la spina.
Esistono diversi metodi che possono aiutarci ad allontanarci dal pensiero delle cose da fare, dallo stress della vita quotidiana e dei compiti da svolgere. Uno di questi è il ritagliarsi uno “spazio bianco”. Di come riuscirci, parla Christine Louise Hohlbaum, autrice americana di The Power of Slow: 101 Ways to Save Time in Our 24/7 World su Psychology Today.
Dare uno “spazio bianco” alla mente
Nel racconto della sua esperienza e dell’importanza di lasciare alla mente uno “spazio bianco”, Louise Hohlbaum usa vari riferimenti: tra cui un libro di Juliet Funt e una ricerca dell’Università dell’Illinois. Il libro di Funt è quello dal quale ha preso l’ispirazione per parlare dello “spazio bianco”.
La ricerca a cui si riferisce, invece, evidenzia l’importanza di prendersi delle pause durante la giornata lavorativa, per amplificare la propria creatività.
I due lavori sono strettamenti collegati, visto che lo spazio bianco descritto da Funt apre la strada a momenti di riflessione che possono aiutare la vita aziendale. Lo spazio bianco è, afferma, uno “spazio tra le cose”, del tempo che le persone si prendono tra i tanti impegni, in cui vivere attimi non programmati. Un’opportunità per cambiare il proprio modo di pensare.
Falsi miti sullo spazio bianco
Lo spazio bianco, però, è costellato anche da falsi miti. Idee comuni sbagliate che impediscono di ritagliarsi in maniera corretta gli attimi di riflessione.
In particolare, Louise Hohlbaum fa riferimento a tre false credenze legate agli spazi bianchi. Ecco quali sono.
- Idea sbagliata n. 1: lo spazio bianco è solo un momento di riposo. Il recupero per la mente è una cosa estremamente importante, ma lo spazio bianco fornisce, oltre al riposo, un’opportunità per aprire le porte alla creatività e all’innovazione. È il luogo dove creare e covare idee. Come quando si accende una lampadina nella mente, mentre stiamo facendo la doccia.
- Idea sbagliata n. 2: deve avere una lunghezza specifica. Non è così. Lo spazio bianco può durare 5 minuti, o solo 30 secondi ritagliati qui e là durante la giornata.
- Idea sbagliata n. 3: lo spazio bianco rimane vuoto. Non si tratta di meditazione, ma di un modo per deframmentare il proprio disco rigido interno.
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Combattere i ladri di tempo
Ma come ritagliarsi davvero uno spazio bianco? Ci sono dei nemici, invisibili ma molto potenti, che ostacolano la creazione degli spazi bianchi. Si chiamano ladri di tempo.
In particolare, Louise Hohlbaum spiega che possiamo identificare alcuni ladri di tempo molto comuni e suggerisce delle domande specifiche da porsi, per sconfiggerli.
Due di questi ladri di tempo riguardano il movimento: la pulsione (il rischio di affaticarsi) e l’attività (il rischio di frenesia). Il secondo gruppo riguarda la stagnazione: eccellenza (il rischio del perfezionismo) e l’informazione (il rischio di un sovraccarico).
Queste sono invece le domande per sconfiggere i ladri di tempo.
- Pulsione: c’è qualcosa che puoi delegare o lasciar perdere?
- Attività: cosa merita effettivamente la tua attenzione?
- Eccellenza: stabilisci quando un lavoro è “buono abbastanza” e non cercare di perfezionarlo ancora
- Informazioni: cosa devi veramente sapere?
Se poste di routine, queste domande possono allontanare i ladri di tempo.
Per chi è abituato a fare molte cose, prendersi del tempo per non fare niente, o comunque niente che sia già stato programmato, può essere un’esperienza umiliante, afferma Louise Hohlbaum. Ma bisogna comunque mettersi in moto e percorrere questo cammino.
Usare correttamente lo smartphone
Anche i dispositivi elettronici, come gli smartphone, sono dei pericolosi ladri di tempo.
Uno studio della McComb School of Business ha dimostrato che tenere vicino lo smartphone, anche se spento, riduce le capacità cognitive.
I dispositivi tecnologici aumentano in noi il senso di urgenza: ci spingono a controllare continuamente il nostro “io virtuale”, per vedere se ci siamo persi qualcosa (nella ormai tristemente nota sindrome FOMO).
Imparare a usare correttamente lo smartphone richiede tempo ed esercizio. Nel frattempo, Funt suggerisce un piccolo esercizio da compiere per riuscirci: dire alle persone che abbiamo dinanzi cosa stiamo controllando sul nostro telefono, mentre lo facciamo.
Non solo è un modo per interagire comunque con coloro che sono presenti nella stessa stanza, ma anche un metodo per evitare di controllare notifiche irrilevanti e quindi perdere tempo.
A tal proposito, Louise Hohlbaum riporta una metafora molto simpatica del libro di Funt. L’autrice definisce l’Iphone come la trovata migliore del diavolo per mettere fine all’umanità. Se volesse distruggerci, afferma, il demonio non sceglierebbe di sbarazzarsi delle persone con un semplice e potente soffio di fuoco. Sarebbe poco poetico. Piuttosto, userebbe qualcosa di molto più seducente e allettante, qualcosa di così ipnotico che potrebbe portarci a non parlare più tra di noi, ponendo fine a quel senso di intimità che c’è tra le persone, distruggendo in questo modo la società.
Louise Hohlbaum afferma che, mentre leggeva il libro della Funt, aveva lasciato il telefono in un altro edificio. Questo le aveva provocato delle sensazioni contrastanti. Da una parte, un senso di libertà. Dall’altro, un senso di nausea. Un po’ come disintossicarsi dopo un periodo di feste in cui si è mangiato di tutto. Un processo difficile e duro, ma che serve per farci stare meglio.
Prendersi un po’ di tempo per sé, ritagliarsi uno spazio bianco non farà crollare il mondo, conclude, e mentre la nostra creatività fluirà sulla tela del tempo che ci siamo dedicati, anche il diavolo potrà essere tenuto a bada.
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