Teamwork: 7 step per evitare di prendere decisioni sbagliate, in gruppo

Teamwork: 7 step per evitare di prendere decisioni sbagliate, in gruppo

Il lavoro di squadra batte sempre lo sforzo individuale? Non è detto, soprattutto nel decision making. Ecco come rimediare.

È vero che lavorare in gruppo è sempre meglio? Che tante teste sono meglio di una? Non necessariamente. Anche quando i problemi di un’azienda sono c

È vero che lavorare in gruppo è sempre meglio? Che tante teste sono meglio di una? Non necessariamente. Anche quando i problemi di un’azienda sono complessi, non è necessariamente vero che mettere insieme le competenze di tanti dipendenti garantisca risultati migliori.

Questo perché spesso il gruppo finisce per agire non come un’insieme di più entità, ma come un organo che (inconsciamente) ha una sola volontà: la nostra naturale inclinazione al rispetto dell’autorità, l’istinto di favorire la collaborazione e l’armonia, prevenendo il dissenso, ci impediscono infatti di affrontare i problemi alla radice.

A questo si aggiunge il “problema” degli esperti: in una decisione di gruppo, il parere di un individuo considerato esperto finisce per influenzare le decisioni di tutti.

Questo non vuol dire che i gruppi sono condannati a prendere decisioni sbagliate. Torben Emmerling e Duncan Rooders, esperti di management, spiegano, scrivendo per la rivista della scuola di business di Harvard, che è possibile creare un processo per arrivare a una buona decisione di gruppo. Sono in particolare sette le strategie che identificano per riuscirci, basandosi sulla propria esperienza oltre che sulla ricerca scientifica sul tema.

Non si tratta ovviamente di una formula che risolve magicamente tutti i problemi, spiegano:

«Seguire questi sette passi non garantisce una buona decisione. In ogni caso, migliore è il processo decisionale e l’interazione tra i membri del gruppo, migliori saranno le tue possibilità di ottenere un risultato soddisfacente».

Scopriamo dunque il processo ideato da Emmerling e Rooders.

Piccolo è meglio

Secondo gli esperti, più grande è il gruppo, peggiori saranno le decisioni prese: le ricerche in tema spiegano che i membri del team non dovrebbero essere più di sei, per evitare di incappare nel bias di conferma, cioè il fatto che tendiamo a memorizzare solo le informazioni che confermano i nostri assunti. Si tratta di un limite che abbiamo tutti, come singoli, ma che si manifesta anche nei gruppi molto grandi. Secondo Emmerling e Rooders, creare squadre tra i tre e i cinque componenti aiuta a ridurre questo effetto.

Diversità o omogeneità?

Diversi studi hanno dimostrato che, in generale, i gruppi i cui membri hanno opinioni omogenee tendono a produrre decisioni a senso unico, il che sembra abbastanza intuitivo. Ecco perché, in generale, è preferibile mettere insieme persone con punti di vista diversi. Ma attenzione: secondo gli esperti, la varietà di competenze e prospettive funziona meglio nei gruppi che hanno come obiettivo quello di condurre una ricerca oppure creare nuovi processi aziendali.

Se invece la squadra ha compiti ripetitivi e lavora in ambienti già strutturati – pensiamo alle procedure di sicurezza nell’aeronautica – il team omogeneo può essere un vantaggio.

L’avvocato del diavolo

L’avvocato del diavolo è colui che deve proporre un’opinione contraria a quella della maggioranza, in ogni caso. Il terzo suggerimento è quindi quello di inserire nel team una persona (due se il gruppo è costituito da più di sette membri) che abbia proprio questa funzione: contraddire l’opinione della maggioranza. Il suo compito è di sfidare le decisioni prese dal team, per capire se ci sono ulteriori margini di miglioramento nei risultati ottenuti.

Anonimato

I gruppi tendono al conformismo, come accennato. I membri che abbiano idee diverse, generalmente restano in silenzio per evitare di essere ostracizzati. Un modo per permettere a tutti di esprimersi e quindi di valorizzare tutte le prospettive è di lavorare prima con i singoli e poi con il gruppo.

Raccogliere anonimamente le opinioni delle singole persone, per esempio con un questionario o creando un documento condiviso in cui non siano chiari gli autori dei vari input, può aiutare a raccogliere la prospettiva di tutti. Un lavoro che può essere poi effettuato anche in fase di revisione delle idee, quando cioè c’è da valutare le proposte e capire quali funzionano e quali no: anche in questo caso, raccogliere i pareri anonimi può essere utile per contrastare il conformismo della maggioranza o nei confronti dei capi.

Libertà di parola

Un altro modo per accogliere l’opinione di tutti è far comprendere ai membri del team che non saranno ‘puniti’, in alcun modo, per le loro idee. Esprimere dubbi e opinioni divergenti dal management dovrebbe essere un’attività senza conseguenze e tale deve essere percepita da ciascuno.

Quando si condividono idee in gruppo è necessario che ci siano tre elementi per far sentire a tutti la sensazione di avere libertà di parola:

  • Mettere in discussione idee e decisioni, non gli individui
  • I leader devono sempre esprimersi con dei pareri, non con delle imposizioni
  • Chi fornisce un feedback alle idee altrui deve sempre rispettare la dignità personale e comprendere l’unico obiettivo a cui tendono tutti i membri della squadra

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Attenzione agli esperti

Come accennato, il parere degli esperti rischia di diventare problematico nel lavoro di gruppo. Secondo alcune ricerche, le opinioni degli esperti vengono facilmente accettate come verità assolute dai membri di un gruppo e questo alimenta un’eccessiva sicurezza nelle decisioni prese dalla squadra. L’opinione degli esperti dovrebbe, secondo Emmerling e Rooders, riguardare solo aspetti molto ben definiti. Tali esperti dovrebbero inoltre posizionarsi al di fuori del team ed essere presenti solo al momento di offrire il proprio punto di vista.

Responsabilità collettiva

L’ultimo aspetto del decision making di gruppo da tenere in conto è il concetto di responsabilità. Quando non c’è un vero lavoro di gruppo, ma il contributo di alcuni elementi emerge più di quello degli altri, è facile attribuire la responsabilità di un eventuale fallimento al singolo. Per stimolare la collaborazione è perciò importante che tutti si sentano ugualmente responsabili dei risultati del lavoro. Un modo per riuscirci è di firmare un documento condiviso sin dall’inizio, in modo tale che risulti chiaro che la leadership è condivisa e così saranno le eventuali responsabilità finali.

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Teamwork: 7 step per evitare di prendere decisioni sbagliate, in gruppo

di Carmen Guarino Tempo di lettura: 4 min
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